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About ME

La foto qua sopra mi ritrae nel momento in cui ebbi il mio primo impatto col mondo dell’audio professionale. Questo succedeva verso la fine degli anni ’70 durante un’edizione della competizione canora “Il pesciolino d’argento”, manifestazione che si teneva all’epoca in una ridente cittadina delle Marche, i. e. San Benedetto del Tronto (AP). Nello specifico, il microfono che nella foto mi nasconde mezza faccia era un Krundall (risposta Italiana all’AKG D12).

Il sottoscritto ha iniziato ad interessarsi di registrazione verso la fine degli anni ’80 quando, armato di due registratori a cassette Grundig mono ed un mixer a 10 canali autocostruito con un kit della rivista Nuova Elettronica (vedi foto), iniziò le sue prime sperimentazioni sonore di stampo Zappiano sovraincidendo i pochi strumenti che aveva a disposizione (vale a dire: una chitarra elettrica copia Italiana di una copia Giapponese di una Gibson Les Paul, una sorta di batteria autocostruita con due fustini del detersivo e qualche pezzo del meccano, e un rudimentale basso elettrico a tre corde costruito a partire da una stecca di legno e una latta d’olio da motori…).

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Era così, con questa sorta di “vintage equipment” low-tech, che il sottoscritto cercava di supplire all’intrinseca mancanza di modernità attribuita ai suoi studi di violino, portati avanti con (molta) difficoltà nel conservatorio di Udine, città dove (causa sindrome da attività autostradale paterna...) si era trasferito dalle Marche dopo una sofferta parentesi Piemontese. Anche se ero comunque armato delle migliori intenzioni, e nonostante cercassi di spremere al massimo le possibilità offerte dai miei due registratori mono, le capacità del mio studio di registrazione low-cost erano in ogni caso molto limitate, e questo a causa dell’improponibile rumore di fondo che inesorabilmente si presentava dopo il terzo overdub. E questi limiti perdurarono per molto tempo, almeno fino a quando nuovi orizzonti acustici mi vennero spalancati davanti dall’ingresso in casa di un computer Commodore 64, regalato a mio fratello per Natale.
Come (forse) molti sapranno, il Commodore 64 si distingueva dagli altri home computer dell’epoca principalmente per essere dotato di serie del cosiddetto SID (Sound Interface Device), un chip dedicato alla generazione di suoni, responsabile delle colonne sonore dei videogame che giravano sul computer (sonorità a quanto pare recentemente tornate in auge con la cosiddetta Micromusic…), chip le cui potenzialità erano regolarmente decantate da Franco Fabbri sulle pagine della rivista "Fare Musica", (Il SID infatti, altro non è che un sintetizzatore trifonico completamente programmabile tramite linguaggio BASIC...).
Così, coadiuvato da un inserto trovato su un vecchio numero di Fare Musica del 1981 su “Il Synth, lo strumento dell’era spaziale”, scritto da Massimo Villa e Vincenzo Ricciuti, e dal libro “Musica con il Commodore 64” di Vito Ozzola, da bravo neoinformatizzato inziai ad apprendere i primi rudimenti di programmazione, ed a fare conoscenza con termini come “Ring modulator”, “LAG Processor” o “VCF”.

Come succede però nelle migliori famiglie, le sperimentazioni musicali portarono via tempo prezioso allo studio e così, dopo essermi faticosamente diplomato all’Istituto d’Arte con 39/60, feci del mio meglio per convincere i miei a mandarmi a Bologna a fare il DAMS (musica, ovviamente…) sperando così di poter sfogare in una città (in teoria…) culturalmente più aperta di Udine le mie velleità musicali… Quindi, una volta giunto a Bologna, passato il primo periodo di stordimento fancazzista che usualmente colpisce le matricole provenienti dall’estrema provincia Ittagliana, da bravo musicista neoinformatizzato in erba iniziai a darmi da fare come potevo per inserirmi in quella che veniva presentata all’epoca come la città musicalmente più attiva d’Italia... Così, dopo un’esperienza come chitarrista in qualche oscuro gruppo dark-punk, e qualche prova come bassista in un gruppo aspirante Sanremese (che aveva già racimolato 15 milioni per passare le selezioni di Castrocaro…) riuscii lentamente ad integrarmi con la fauna musicale del luogo, e già dopo poco tempo qualche jazzista (anche lui in erba...) del luogo iniziò a convocarmi come guest in qualche session.
Tutto sembrava quindi filare per il meglio, le prove in cantina con gli amici dell’hinterland Udinese stavano già diventando un ricordo, e finalmente, davanti a me, anonimo bassista di provincia ormai integrato nel gotha jazzistico locale, si stavano materializzando le tanto agognate aspettative di FUGA dalla retrodatazione culturale tipica della provincia Friulana depressa, MA (c’è sempre un MA... che cazzo...), improvvisamente, come una sorta di crash di sistema resettò all’improvviso tutto quello che avevo ottenuto fino a quel momento…
Successe infatti che, preparando l’esame di ammissione al conservatorio di Bologna per la sezione contrabbasso, causa lo studio affrettato e portato avanti in condizioni praticamente estreme (…ero costretto a praticare lo strumento nel BAGNO per non disturbare i miei 5 coinquilini… con cui condividevo una casa di DUE stanze…) venni improvvisamente colpito da una pesante tendinite che mi costrinse, per un lungo periodo, ad interrompere la mia attività di musicista…

Lentamente rassegnatomi quindi alla mia condizione di EX bassista (nessun medico infatti fu in grado di darmi una precisa risposta riguardo ai TEMPI di guarigione da quella malattia…che infatti mi trascinai dietro per anni, almeno fino a quando non incontrai una pranoterapeuta, Alga Ravennati, che finalmente riuscì a liberarmi per sempre da quella sfiga), tornai così miseramente sui miei passi, cercando di ritornare ad espletare i miei bisogni creativi nell'ambito degli altri settori che prima mi erano appartenuti, come il disegno e la grafica.
Resomi però conto che quelle attività non sarebbero mai riuscite a colmare la mia fame atavica di “frequenze udibili organizzate”, fui così praticamente costretto ad interessarmi a metodi alternativi di produzione musicale per cui non fosse essenziale saper suonare uno strumento…
All’inizio degli anni ’90, la mia attenzione cadde dunque sulla pratica del cosiddetto “cutting”, vale a dire la tecnica di elaborazione e montaggio di campioni (usualmente tratti da dischi di Funky degli anni ’70…) con cui venivano prodotti i dischi di Hip Hop o di una certa House.

Furono fortunatamente quelli gli anni in cui, Commodore 64 a parte, la cosiddetta “Computer Music”, grazie all’immissione sul mercato di computer a prezzi relativamente popolari come l’ATARI 1040 e l’AMIGA 500, iniziava a diventare accessibile anche a coloro che non avessero la fortuna di lavorare in conservatori o in istituti di ricerca universitari ( o di aver vinto al Totocalcio… un OBX-A nel 1980 costava 8 milioni…) e furono anche quegli gli anni in cui (ancor più fortunatamente) i musicisti iniziarono a disfarsi a poco prezzo dei vecchi synth analogici…
In conseguenza di ciò, individuai in giradischi e periferiche annesse (vale a dire, tastiere, campionatore e mixer…) i nuovi strumenti di cui mi sarei servito per esercitare la mia attività…

Così, grazie ai proventi della vendita del contrabbasso (venduto a un pensionato milanese appassionato di Dixieland) acquistai una coppia di Technics 1200 usati, e poco più tardi, grazie a una serie di lavori di basso profilo (Pony Express, bagnino, sguattero al Mac Donald…), mi potei permettere l’acquisto del mio primo synth analogico (un Oberheim Matrix 6, poi barattato con il mio attuale Korg MS-20), un computer Atari 1040, un campionatore AKAI S950 usato e un Minimoog mezzo sventrato (ma comunque funzionante e dotato di interfaccia MIDI…).
Parallelamente, come in preda ad una sorta di raptus ossessivo-compulsivo, iniziai a frequentare in modo assiduo il reparto usato di praticamente tutti i negozi di dischi di Bologna e provincia, alla caccia di dischi di Funk (e non...) da cui poter estrarre i potenziali campioni da utilizzare per le mie future produzioni... (si chiama “diggin’ in the crates”...).

 
 

Quindi, dopo aver frequentato un (inutile) corso di tecnico del suono finanziato dalla CEE, fra un lavoro in studio come programmatore MIDI per dischi di Salsa e Merengue, e diversi ingaggi come DJ presso qualche festa della birra locale, in capo a qualche anno mi ritrovai in casa (nello specifico, nella stanza dove dormivo…) uno dei primi home-studio di musica elettronica analog-based della città...(questa situazione portò poi anche a delle curiose conseguenze, come ad esempio la presenza in quasi tutto il disco SXM del gruppo Hip Hop “Sangue misto” dei suoni di basso programmati dal sottoscritto sul suo Minimoog... anche se dai crediti non risulta...).
Così, dopo aver sonorizzato qualche cortometraggio autoprodotto, e qualche saltuaria collaborazione con altri musicisti locali, iniziò per Bologna a spargersi la voce dell’esistenza di un DJ che dormiva in una stanza piena di strane apparecchiature, e che, principalmente, chiedeva pochi soldi per i suoi lavori... Questo al punto che, nel 1993, il giornalista Vanni Masala mi dedicò un’articolo sull’Unità in quanto esponente atipico della creatività Bolognese (vedi foto...).

 

Sempre nello stesso periodo poi accadde che, sull'onda della mia sovraesposizione mediatica (nonché del mio background culturale di matrice bene o male “alternativa”) mi capitò di venire in contatto con alcuni bizzarri personaggi, che si mostrarono interessati alla mia figura multifunzionale di fonico, DJ e programmatore, animatore culturale... (ma anche attacchino, puliscicessi... o grafico, a sinistra si può vedere uno dei manifesti che produssi durante la mia permanenza al Link...), personaggi con cui presi parte alla creazione di un sedicente “CENTRO CULTURALE MULTIMEDIALE”, che venne denominato “Link Project” (progetto collegamento...), centro che fu inaugurato nel 1994, e di cui finii per figurare fra i soci fondatori...
Così, una volta acquisita al Link la nomea di DJ d’avanguardia sotto lo pseudonimo di DJ Albertik (giusto per tenere alto il tono, mi sforzavo di proporre le nuove tendenze della Dance Music del periodo come il Trip Hop di estrazione Inglese o la prima Drum’n’Bass, all’epoca chiamata Jungle... vedi volantino)

Finii di conseguenza per entrare in contatto sia con la scena techno romana del periodo che bazzicava allora da quelle parti (Gabriele Rizzo, Marco Micheli) che con un DJ Barese specializzato in Chicago House (DJ Sindaco) dal quale mi fu chiesto di produrre quello che pare (pare… se qualcuno pensa di essere arrivato prima batta un colpo…) essere stato il primo Mix di Techno prodotto a Bologna, che uscì su etichetta ACV col nome di Burgerbabe, vedi foto (specifico comunque che non ho mai comprato un disco di Techno in vita mia…).
Poi, dopo una parentesi Napoletana nel 1995 come fonico cinematografico per il film di Paolo “Fiore” Angelini “La rivoluzione non è più quella” (fui anche l’autore delle musiche del film, delle quali tuttavia non rimasi troppo soddisfatto a causa dei limiti tecnici causati dai pochi mezzi di cui disponevo) e dopo la pubblicazione della mia prima traccia sulla compilation “Mixtofonia 1” del 1997, in seguito ad un upgrade tecnologico del mio Home Studio (di cui entrò a far parte un mixer Soundcraft Delta DLX, un campionatore EMU 6400, dei compressori Drawmer, ecc ecc…) sempre nel 1997 decisi di lanciarmi in quello che allora sembrava il futuro musicale (ed economico) di quegli anni, ed iniziai così la produzione del mio primo disco di dance-elettronica “SPERIMENTALE” (bella parola sperimentale...).

Successe però (c’è sempre un però...) che una volta mixati i pezzi sul mio costoso (4 milioni e ½ delle vecchie lire all’epoca... manco nuovo) Soundcraft Delta DLX, andando direttamente su DAT, la cruda realtà dei 44,1KHz mi si parò inesorabilmente davanti in tutta la sua disumana freddezza... e come se non bastasse, scoprii solo all’ultimo momento che quel particolare mixer era famoso per la sua capacità di saturare l’amp di uscita poco prima che si accendesse il primo led rosso.
Assolutamente scontento del risultato ottenuto (44,1 kHz, e pure saturi...), fu proprio in quel momento che così presi brutalmente coscienza della distanza SIDERALE che separava il SUONO che avevo ottenuto, da quello della musica (tutta su VINILE) che ascoltavo e ascolto tuttora… come l’Hip Hop Old School, il Funk anni ’70, il Blues NERO, il Free Jazz delle origini… (ma anche il Trip Hop della Mò Wax che proponevo al Link Project… e comunque anche Arthur Milstein non è che mi abbia mai fatto proprio schifo…).
 

In ogni caso, anche se ero fondamentalmente insoddisfatto del risultato, i miei brani furono selezionati all’interno del concorso Iceberg 1998, una traccia frutto del mio soggiorno Napoletano (non a caso intitolata “Piezz’è core”) fu pubblicata sulla compilations Mixtofonia 99, e ricevetti una proposta di pubblicazione del mio lavoro dall’etichetta “I dischi di Angelica” (etichetta dell’omonimo festival di musica contemporanea che si tiene a Bologna…) che però declinai ritenendo che il mio materiale non fosse tecnicamente all’altezza della pubblicazione…
Profondamente prostrato da questa delusione acustico-professionale (leggasi: alla faccia di tutto, soldi non se ne vedevano...), dopo aver venduto il mixer a una band gay-friendly di cover anni ’80, ed il DAT a un DJ di Goa-Trance Croato (nella foto, il mio EX studio prostrato dall’espianto del Mixer e del DAT…), nel 1999, forte della mia prima connessione a 33,6 KBS, iniziai quindi ad esplorare il cyberspazio alla ricerca di INFORMAZIONI che potessero aiutarmi a trovare le adeguate risposte alle domande che mi ponevo… la principale delle quali era:

“PERCHE’ tutta la musica registrata dopo gli anni ’70 non mi piace come SUONA?”

Così, dopo aver letto i pochi articoli sul “vintage gear” reperibili a quel tempo sul web, aver restaurato un paio di Echorec Binson trovati in un mercatino e, principalmente, dopo aver acquistato negli USA qualche paio di strani cassetti metallici su cui facevano bella mostra di sé alcune valvole ed un paio di cubi di metallo, iniziai finalmente a chiarirmi le idee sull’argomento…


Vintage solutions è il punto d’arrivo della mia attività di ricerca sulle ORIGINI DEL SUONO REGISTRATO, suono che alla fine dei conti (in Euri…e di qualche annetto di studi…) è risultato essere nient’altro che l’interazione di una più che vasta serie di fattori, come ad esempio i diversi tipi di distorsione armonica prodotti dalle differenti tipologie circuitali, la risposta in fase dei trasformatori di impedenza, il comportamento delle onde elettromagnetiche all’interno dei conduttori, o la tecnologia con cui sono prodotti i componenti elettronici…
Questa ricerca, oltre ad aver sortito l’effetto collaterale di avermi messo in grado di scrivere di (quasi...) qualsiasi argomento riguardi la tecnologia audio pre-digitale (un mio articolo sui banchi Neve è uscito sulla rivista Insound dell’Agosto 2006), mi ha principalmente permesso di acquisire le conoscenze specifiche che si sono rivelate essere indispensabili per poter gestire ed utilizzare al meglio le mie apparecchiature…
Nel momento in cui infatti si debba avere a che fare chessò… con un compressore a valvole degli anni ’50 comprato su Ebay da un commerciante di surplus militare sovietico, su nessun manuale di istruzioni troverete le informazioni necessarie per, ad esempio, adattare la sua impedenza di ingresso di linea a quella della vostra interfaccia AD-DA, upgradare il suo circuito di alimentazione senza snaturarne troppo le caratteristiche originarie, bilanciare i due rami dello stadio di uscita push-pull, o per modificarlo in modo da non permettergli di saturare l’ingresso della vostra scheda audio con il suo (tutt’altro che raro all’epoca…) livello di uscita a +24 Db.
Tutti questi anni infatti, passati a documentarmi sui principi costruttivi di microfoni, preamp, compressori, equalizzatori, mixers (e questo al solo scopo di capire COME l’interazione dei diversi fattori messi in gioco nella struttura di un circuito audio, caratterizzi il SUONO che questo produce…) mi hanno permesso di sviluppare una serie di competenze tecniche che si sono verificate essere INDISPENSABILI nel momento in cui si voglia, ad esempio, sia ottimizzare al meglio le prestazioni di determinate periferiche audio (in molti casi il rumore di fondo prodotto da certi apparecchi non è più compatibile con gli standard attualmente richiesti in studio…) che personalizzare il SUONO da queste prodotto (e questo grazie a un mirato upgrade delle stesse, che sia comunque compatibile con la filosofia progettuale con cui sono state concepite).
Il tutto al solo scopo di poter andare OLTRE gli standard acustici, usualmente di basso profilo, imposti al mercato dall’attuale industria della registrazione (ma dico… qualcuno qua è ancora convinto che il CD suoni meglio dell’LP? Io nel secolo scorso ne ho comprati delle vagonate e ancora me ne pento…).
Chi comunque senta l’esigenza di approfondire l'argomento, visiti ogni tanto la pagina “Tech papers” dove mano a mano pubblicherò articoli specifici…

Alberto Bario